E' perché leggo poco e dovrei leggere di più.
Però quando parte la curiosità, vado a fondo: a volte può essere un titolo curioso, a volte è quella persona persona conosciuta via blog amante della natura oppure quell'altra con cui hai chattato e che poi scopri essere la sceneggiatrice di un film che ti è piaciuto. Di solito coi libri scopri qualcosa di più di quella persona, solitamente il meglio. Perché confusi in una società basata sulle immagini ci si dimentica che i sentimenti sono dentro e non hanno colore, e che se non ti fermi un attimo a far silenzio attorno a te non riuscirai mai a leggere il colore di una richiesta silenziosa di aiuto. Vabbè, lo confesso: di Michelle Nouri mi ha subito colpito la sincerità dei suoi modi televisivi, al limite dell'ingenuità ma soprattutto quello sguardo profondo, solare e vagamente orientale, che sicuramente aveva molto da raccontare. Poi le storie orientali mi hanno sempre affascinato: anzitutto la musica, così diversa dai canoni occidentali, poi tutta l'arte decorativa e religiosa con la geometria elevata a misticismo, per giungere ai reportage di guerra di Pino Scaccia e alle immagini del mio amico fotografo Michele, tornato da Baghdad con immagini struggenti e testimonianze toccanti. La diversità che ci tocca e ci stuzzica a saperne di più, perché ci fa interrogare di quanto la nostra personale esperienza sia unica solo se si rapporta a essa. E di mezzo c'è sempre una guerra, a mutare tutto in tutt'altro. Perché Michelle e le sue due sorelle, frutto dell’incontro di due culture estremamente diverse, madre cattolica ceca e padre musulmano iracheno, sembravano solo destinate ad una infanzia felice, lei frutto singolare e motivo di curiosità nella profumata e speziata Baghdad. L'amore fa tutto, l'amore ti fa orientare e capire quando anche tradizioni e costumi sono lontanissimi, l'amore ricuce le contraddizioni, riduce le asprezze, rende due genitori amorevoli una fata e un principe. La guerra toglie. Il lungo conflitto Iran-Iraq fa sentire le conseguenze non solo economiche sulla società irachena, giungendo a impoverire e distruggere un rapporto che sembrava miracolosamente resistere. Giungono l'odio e le ristrettezze: Michelle conosce il dolore dell'isolamento e dell'abbandono del padre, la durezza delle ortodossie e la violenza delle ingiustizie e di fronte ad una situazione che precipita deve lasciare l'amata Baghdad per rifugiarsi nella fredda Cecoslovacchia, ancora adolescente. Trascorreranno ancora anni difficili nell'Europa post-comunista, anni di sacrifici e disillusioni, prima che uno spiraglio di luce baci la sua fronte, ravvivando quel lume mai spento di speranza nel riscatto.
Dopo aver letto "La ragazza di Baghdad", il romanzo autobiografico di Michelle Nouri, aver partecipato con lei alla sua rabbia e alle sue speranze non posso che guardare con ancora maggiore ammirazione lo sforzo di chi come lei si adopera per un dialogo interculturale e interreligioso, perché dopo la caduta di un muro, centinaia di altri piccoli muri si innalzano e minacciano un'esistenza altrimenti pacifica e possibile. La storia di Michelle insegna che tutto è possibile se c'è amore e comprensione e che nulla è perduto finchè c'è voglia di riscatto e desiderio di non farsi sopraffare dalle consuetudini e dagli stereotipi.
Però quando parte la curiosità, vado a fondo: a volte può essere un titolo curioso, a volte è quella persona persona conosciuta via blog amante della natura oppure quell'altra con cui hai chattato e che poi scopri essere la sceneggiatrice di un film che ti è piaciuto. Di solito coi libri scopri qualcosa di più di quella persona, solitamente il meglio. Perché confusi in una società basata sulle immagini ci si dimentica che i sentimenti sono dentro e non hanno colore, e che se non ti fermi un attimo a far silenzio attorno a te non riuscirai mai a leggere il colore di una richiesta silenziosa di aiuto. Vabbè, lo confesso: di Michelle Nouri mi ha subito colpito la sincerità dei suoi modi televisivi, al limite dell'ingenuità ma soprattutto quello sguardo profondo, solare e vagamente orientale, che sicuramente aveva molto da raccontare. Poi le storie orientali mi hanno sempre affascinato: anzitutto la musica, così diversa dai canoni occidentali, poi tutta l'arte decorativa e religiosa con la geometria elevata a misticismo, per giungere ai reportage di guerra di Pino Scaccia e alle immagini del mio amico fotografo Michele, tornato da Baghdad con immagini struggenti e testimonianze toccanti. La diversità che ci tocca e ci stuzzica a saperne di più, perché ci fa interrogare di quanto la nostra personale esperienza sia unica solo se si rapporta a essa. E di mezzo c'è sempre una guerra, a mutare tutto in tutt'altro. Perché Michelle e le sue due sorelle, frutto dell’incontro di due culture estremamente diverse, madre cattolica ceca e padre musulmano iracheno, sembravano solo destinate ad una infanzia felice, lei frutto singolare e motivo di curiosità nella profumata e speziata Baghdad. L'amore fa tutto, l'amore ti fa orientare e capire quando anche tradizioni e costumi sono lontanissimi, l'amore ricuce le contraddizioni, riduce le asprezze, rende due genitori amorevoli una fata e un principe. La guerra toglie. Il lungo conflitto Iran-Iraq fa sentire le conseguenze non solo economiche sulla società irachena, giungendo a impoverire e distruggere un rapporto che sembrava miracolosamente resistere. Giungono l'odio e le ristrettezze: Michelle conosce il dolore dell'isolamento e dell'abbandono del padre, la durezza delle ortodossie e la violenza delle ingiustizie e di fronte ad una situazione che precipita deve lasciare l'amata Baghdad per rifugiarsi nella fredda Cecoslovacchia, ancora adolescente. Trascorreranno ancora anni difficili nell'Europa post-comunista, anni di sacrifici e disillusioni, prima che uno spiraglio di luce baci la sua fronte, ravvivando quel lume mai spento di speranza nel riscatto.
Dopo aver letto "La ragazza di Baghdad", il romanzo autobiografico di Michelle Nouri, aver partecipato con lei alla sua rabbia e alle sue speranze non posso che guardare con ancora maggiore ammirazione lo sforzo di chi come lei si adopera per un dialogo interculturale e interreligioso, perché dopo la caduta di un muro, centinaia di altri piccoli muri si innalzano e minacciano un'esistenza altrimenti pacifica e possibile. La storia di Michelle insegna che tutto è possibile se c'è amore e comprensione e che nulla è perduto finchè c'è voglia di riscatto e desiderio di non farsi sopraffare dalle consuetudini e dagli stereotipi.