domenica 22 settembre 2019

Più a nord

Mio fratello me lo diceva, tutte quelle volte che, nei suoi 12 anni a Copenhagen, rientrava in Puglia per trascorrere qualche giorno col resto della famiglia. "Lì le cose funzionano, i lavori pubblici si iniziano e si finiscono, il welfare funziona, i bambini sono ipertutelati e non importa di chi siano figli, i mezzi pubblici sono puntuali, non c'è bisogno di auto proprie perchè basta una bici, ... "eccetera eccetera. E siccome la solfa si ripeteva ogni volta e cominciava a sembrare il discorso dell'emigrato italiano che deve denigrare tutto quello da cui è fuggito, io e Mgz ci siamo detti: vabbè, andiamo in Danimarca, visto che ce ne parla tutte le volte e sempre in termini entusiastici, andiamo a verificare. Solo che dal dire al fare sono passati vent'anni: nel frattempo sono arrivati i (nostri) bambini, sono cresciuti, mio fratello ha lasciato Copenhagen per ritirarsi nella terra natia (ma ci sarebbe rimasto volentieri, aveva già comprato casa), Martino c'è andato lo scorso anno con l'Interrail e praticamente il sogno di visitare quelle terre per me e Mgz è rimasto nel cassetto. Fino alla settimana scorsa.


Un esempio su tutti: ho fotografato la Copenhagen International School, quartiere Nordhavn, il più grande edificio con facciate fotovoltaiche al mondo (12mila pannelli di colore del mare), il primo di una serie, perchè si prevede la realizzazione (ed ho visto il cantiere) di un intero distretto ecosostenibile e che sarà completato nel 2022. Una città che prevede di diventare la prima capitale carbon-neutral al mondo nel 2025: sono certo che ci riuscirà.

In conclusione, aveva ragione lui. Una nazione che ha saputo coniugare tradizione ed innovazione, sviluppo ed ecosostenibilità, territorio e capillarità dei servizi, multietnicità ed integrazione, meglio che altrove, ammettiamolo.

E la Svezia? Per quel poco che abbiamo visto col passaggio dell'Øresund, ancora più, se possibile.
L'impressione tornando in Italia da questo piccolo ma significativo tour scandinavo è quella di vivere in un paese che viaggia col freno a mano tirato, a vista, dilaniato tra burocrazia e conflitto sociale, con potenzialità grandi ma che preferisce piangersi addosso o inventarsi di volta in volta nemici immaginari pur di non cambiare nulla.