Mio fratello me lo diceva, tutte quelle volte che, nei suoi 12 anni a Copenhagen, rientrava in Puglia per trascorrere qualche giorno col resto della famiglia. "Lì le cose funzionano, i lavori pubblici si iniziano e si finiscono, il welfare funziona, i bambini sono ipertutelati e non importa di chi siano figli, i mezzi pubblici sono puntuali, non c'è bisogno di auto proprie perchè basta una bici, ... "eccetera eccetera. E siccome la solfa si ripeteva ogni volta e cominciava a sembrare il discorso dell'emigrato italiano che deve denigrare tutto quello da cui è fuggito, io e Mgz ci siamo detti: vabbè, andiamo in Danimarca, visto che ce ne parla tutte le volte e sempre in termini entusiastici, andiamo a verificare. Solo che dal dire al fare sono passati vent'anni: nel frattempo sono arrivati i (nostri) bambini, sono cresciuti, mio fratello ha lasciato Copenhagen per ritirarsi nella terra natia (ma ci sarebbe rimasto volentieri, aveva già comprato casa), Martino c'è andato lo scorso anno con l'Interrail e praticamente il sogno di visitare quelle terre per me e Mgz è rimasto nel cassetto. Fino alla settimana scorsa.
In conclusione, aveva ragione lui. Una nazione che ha saputo coniugare tradizione ed innovazione, sviluppo ed ecosostenibilità, territorio e capillarità dei servizi, multietnicità ed integrazione, meglio che altrove, ammettiamolo.
E la Svezia? Per quel poco che abbiamo visto col passaggio dell'Øresund, ancora più, se possibile.
L'impressione tornando in Italia da questo piccolo ma significativo tour scandinavo è quella di vivere in un paese che viaggia col freno a mano tirato, a vista, dilaniato tra burocrazia e conflitto sociale, con potenzialità grandi ma che preferisce piangersi addosso o inventarsi di volta in volta nemici immaginari pur di non cambiare nulla.
1 commento:
Non mi resta che condividere le tue conclusioni finali! Sigh!
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